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Nicola Marrano
Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche

Coautori

Ricerca in ambito metabolico

Introduzione

La malattia metabolica costituisce uno dei principali stati patologici che incidono sulla salute globale dell’uomo. Condizioni come l’obesità, il diabete mellito tipo 2, le patologie cardiovascolari, i disordini del metabolismo lipidico (ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia) e la steatosi epatica stanno diventando sempre più diffuse sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Di conseguenza, c’è un urgente e crescente bisogno di identificare nuovi approcci per la prevenzione e il trattamento di queste patologie, studiarne le cause e i meccanismi molecolari alla base della loro insorgenza.

Modelli animali

L’omeostasi metabolica è frutto di una complessa cooperazione tra diversi organi e tessuti (muscolo, fegato, tessuto adiposo, cervello, intestino, rene e pancreas) ed è fortemente influenzata sia dal genotipo che da fattori ambientali. A causa di questa complessità, la ricerca scientifica in ambito metabolico non può prescindere dall’utilizzo di modelli animali che mimino tutti gli aspetti delle malattie metaboliche umane. Di seguito verranno descritti i modelli sperimentali più utilizzati e meglio caratterizzati (1, 2).

Modelli di obesità e diabete di tipo 2 geneticamente indotti

Si tratta di modelli animali portatori di mutazioni monogeniche che causano obesità e/o diabete. Questi modelli sono utili per lo studio dei meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza di tali disordini metabolici, ma sono ben lontani dal mimare adeguatamente ciò che accade negli esseri umani.
Tra questi modelli ritroviamo (Tabella 1):

  • Topi ob/ob: caratterizzati da una mutazione autosomica recessiva nel gene della leptina. Questi topi sviluppano precocemente obesità, iperinsulinemia e iperglicemia. In 12 settimane diventano intolleranti al glucosio e presentano steatosi epatica. Tra le 20 e le 24 settimane di età sono solitamente affetti da problemi cardiaci. Non mostrano dislipidemia.
  • Topi db/db: caratterizzati da una mutazione autosomica recessiva nel gene del recettore della leptina che porta al precoce sviluppo di obesità e iperglicemia. Questi topi, a partire dalle 12-13 settimane di età, diventano iperinsulinemici, intolleranti al glucosio, ipertrigliceridemici, ipercolesterolemici e mostrano segni di disfunzione endoteliale e steatosi epatica.
  • Ratti Zucker Diabetic fatty (ZDF, fa/fa): sono ratti con una mutazione nel gene del recettore della leptina. Tra le 12-15 settimane di vita sviluppano iperglicemia, iperinsulinemia e ipertrigliceridemia e, più tardivamente, ipercolesterolemia, steatosi epatica, albuminuria e fibrosi glomerulare.
  • Ratti Otsuka Long-Evans Tokushima Fatty (OLETF): sono ratti caratterizzati da una mutazione nel gene del recettore della colecistochinina che porta allo sviluppo di iperfagia, obesità, iperglicemia, intolleranza al glucosio, ipertrigliceridemia e ipercolesterolemia. Questi ratti sviluppano anche glomerulosclerosi, ipertrofia cardiaca, ipertensione e accumulo di trigliceridi a livello epatico.

Modelli di diabete di tipo 1

La principale caratteristica del diabete mellito di tipo 1 è la distruzione autoimmune delle beta-cellule pancreatiche che porta alla mancanza di produzione di insulina. Tra i modelli sperimentali di tale patologia, i topi NOD (non-obese diabetic) sono quelli più utilizzati. Si tratta di un modello poligenico che sviluppa spontaneamente insulite e infiltrazione leucocitaria del pancreas. L’insorgenza del diabete è caratterizzato da glicosuria moderata e da un glucosio plasmatico non a digiuno superiore a 250 mg/dl. I topi diabetici sono ipoinsulinemici e iperglucagonemici, a indicare una distruzione selettiva delle beta-cellule pancreatiche (3).

Modelli di diabete chimicamente indotto

Allossana e streptozotocina sono analoghi strutturali del glucosio, in grado di entrare nelle beta-cellule mediante il trasportatore GLUT2 e di indurne disfunzione e morte. Una loro singola iniezione ad elevate dosi, in topi, ratti e conigli, instaura una condizione simile, in parte, al diabete mellito tipo 1. Questi modelli, seppur ipoinsulinemici, normopeso e ipotesi, mostrano sia infiammazione che steatosi epatica e ridotta contrattilità cardiaca. Basse dosi di streptozotocina associate a diete a elevato contenuto di grassi o di fruttosio instaurano, invece, un modello di diabete mellito tipo 2 privo di ipertensione e obesità.

Modelli di patologie metaboliche indotte con la dieta

Sebbene i modelli animali di patologie metaboliche indotte con la dieta siano molteplici e molto variabili (per esempio animali nutriti con diete ad alto contenuto di saccarosio o di fruttosio), la dieta più utilizzata per indurre danno metabolico nell’animale da laboratorio è la dieta ad alto contenuto di grassi (High-fat diet, HFD). Una dieta costituita dal 20-60% di energia derivante da grassi è in grado di indurre obesità, dislipidemia e insulino-resistenza, portando allo sviluppo di ipertensione, disfunzione cardiovascolare, complicanze cardiache, epatiche e renali. A lungo termine, in alcuni ceppi di animali sperimentali, l’HFD può causare iperglicemia e intolleranza al glucosio (Tabella 2).

Indici Metabolici

La ricerca in ambito metabolico nell’uomo si avvale di una serie di parametri utili a valutare lo stato metabolico dell’organismo, sia che si tratti di modelli animali sia che si tratti dell’uomo. Di seguito verranno elencati i parametri più utilizzati.

Parametri ematochimici: i valori di glicemia, emoglobina glicata (HbA1c), colesterolemia e trigliceridemia, associati ai valori di pressione arteriosa diastolica e sistolica, rappresentano gli indici metabolici più facili da ottenere e più rappresentativi dello stato metabolico.
Parametri antropometrici: i principali parametri antropometrici sono l’altezza, il peso e l’indice di massa corporea IMC (peso/altezza, espressa in metri, al quadrato) che ci dà una stima di quanto il peso di un individuo si discosta dal peso forma (IMC < 19, sottopeso; 19 < IMC < 25, normopeso; 25 < IMC < 30, sovrappeso; IMC > 30, obesità). La circonferenza addome, correlata all’accumulo di grasso viscerale, è un parametro spesso utilizzato per valutare il rischio cardiovascolare. Valori superiori a 102 cm nell’uomo e a 88 cm nella donna sono associati ad un rischio cardiovascolare aumentato. Infine, la valutazione della composizione corporea permette di quantificare la massa grassa e la massa magra dell’organismo. Le metodiche più utilizzate sono la bioimpedenziometria, l’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DEXA), la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare.
Tolleranza al glucosio: i test di tolleranza al glucosio monitorano i livelli di glicemia, a intervalli regolari, dopo a un carico orale di glucosio (oral glucose tolerance test, OGTT) o dopo iniezione intraperitoneale/intravenosa di glucosio (intraperitoneal/intravenous glucose tolerance test, IPGTT, IVGTT). Sono test utili per individuare uno stato di intolleranza al glucosio o una condizione di diabete mellito tipo 2 (Figura 1).
Indici di insulino-resistenza: esistono due gruppi di indici di insulino-resistenza. Il primo gruppo include gli indici che utilizzano le concentrazioni ematiche di insulina e glucosio a digiuno (es. HOMA-IR e QUICK INDEX); sono indici più pratici ma meno precisi. Il secondo gruppo include gli indici calcolati usando le concentrazioni ematiche di insulina e glucosio durante OGTT (es. Matsuda index) (4). Nella ricerca, il gold standard per ma misura della sensibilità dei tessuti all’insulina è costituito dal clamp euglicemico iperinsulinemico (si infonde insulina e si misura la quantità di glucosio necessaria per compensare l’infusione di una quantità costante di insulina senza causare ipoglicemia) o mediante clamp iperglicemico (si infondono dosi crescenti di glucosio e si misura la quantità necessaria a raggiungere un livello costante di iperglicemia) (5).

Bibliografia

  1. da Silva Xavier G, Hodson DJ. Mouse models of peripheral metabolic disease. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab. 2018 Jun;32(3):299-315.
  2. Panchal SK, Brown L. Rodent models for metabolic syndrome research. J Biomed Biotechnol. 2011;2011:351982.
  3. King AJ. The use of animal models in diabetes research. Br J Pharmacol. 2012 Jun;166(3):877-94.
  4. Gutch M, Kumar S, Razi SM, Gupta KK, Gupta A. Assessment of insulin sensitivity/resistance. Indian J Endocrinol Metab. 2015 Jan-Feb;19(1):160-4.
  5. DeFronzo RA, Tobin JD, Andres R. Glucose clamp technique: a method for quantifying insulin secretion and resistance. Am J Physiol. 1979 Sep;237(3):E214-23.
  6. Wong SK, Chin KY, Suhaimi FH, Fairus A, Ima-Nirwana S. Animal models of metabolic syndrome: a review. Nutr Metab (Lond). 2016 Oct 4;13:65.
Questa tabella rappresenta i principali segni metabolici e la loro età di insorgenza nei modelli animali di patologie metaboliche più utilizzati nella ricerca scientifica. I simboli ✓e X indicano la presenza o l’assenza di questi segni, all’età corrispondente. Il simbolo – indica l’indisponibilità di dati. [Modificata da Panchal SK, Brown L. Rodent models for metabolic syndrome research. J Biomed Biotechnol. 2011;2011:351982 (2)]
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